La storia dell'edificio
Si direbbe che gli abitanti di Balerna abbiano voluto conservare in Sant’Antonio un ricordo del paesaggio idillico che godeva il Mendrisiotto prima della costruzione dell’autostrada; anzi, proprio a chi vi transita, la chiesetta sul colle di Cereda appare – fuggevolmente – come una graziosa signorina, ornata di una corona d’alberi e di edicole, e in perenne, lento, girare su sé stessa, con le sue due facciate, una verso il mondo una verso l’antico borgo.
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Più che dalla comoda strada che passa accanto al grotto e sfocia in un posteggio, è meglio arrivarci arrancando lungo la salita selciata, così che – infine - il portico laterale adempia alla sua funzione accogliente e l’infilata della Via Crucis inviti a circolare sul verde alberato.
Meritano un’attenta considerazione già le opere all’esterno, ma è un piacere scoprire, oltre la piccola porta d’entrata, il vivo senso della premura e dell’affetto tenace che i balernitani hanno concretizzato nella decorazione della loro chiesetta; a volte – storicamente parlando – con eccesso di zelo cioè cancellando preziose testimonianze d’arte e d’artigianato, ma sempre con l’onesta intenzione di “far sempre meglio”. E non è solo sincera devozione, è anche orgoglio civico ed espressione di quella solidarietà extratemporale, che si manifesta nel far cose durevoli e con l’intenzione di essere “per tutti”, specialmente per le generazioni future. Esempio perfetto di questo cercato e mantenuto legame generazionale è l’aver scelto per la festa padronale una scadenza “lunga”, cioè di 25 anni: pochi, un tempo, potevano parteciparvi attivamente per più di due volte nella vita e ogni volta si pensava di lasciar testimonianza ai propri figli dell’impegno, della voglia di fare concreto e di far legittima festa.
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Così si presenta Sant’Antonio: manifestazione di una dozzina di generazioni di antiche famiglie patrizie, di piccola nobiltà o di borghesi intraprendenti, di artigiani ed artisti abili e “internazionali”, o di contadini; e poi dei loro discendenti operai, commercianti, impiegati, dirigenti e via dicendo. Per ciascuna tipologia sempre almeno una o due famiglie si sono occupate della chiesetta, dei suoi arredi, dei suoi terreni e del suo eremita, saggiamente con un occhio alla fede e uno alla festa.
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Visitarla sapendo “ascoltare” le antiche e nuove voci e “leggere” forme e colori è come partecipare alla storia viva, forse modesta, ma autentica.
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Fu la popolazione di Balerna a volere, a erigere e a gestire l’oratorio poco fuori dall’antico abitato, nel luogo dove probabilmente esisteva già una cappelletta. Benedetto nel 1688, ma probabilmente fu costruito nei 10-15 anni precedenti, poiché la bella statua in legno del Santo porta la data del 1675. Si regista un pagamento per la sistemazione dell’edificio ad Andrea Silva di Morbio Inferiore proprio nel 1688 e in questi stessi anni devono essere stati eseguiti anche gli affreschi che ora si vedono in chiesa: i quattro episodi delle storie del Santo sulle pareti della navata (ridipiniti in parte nei secoli successivi e non facilmente attribuibili) e la Gloria del Santo sulla voltina dell’altare, sicuramente opera della bottega di Francesco e di Innocenzo Torriani di Mendrisio. La chiesetta, più corta della precedente e senza campanile, presentava la facciata verso il borgo, mentre l’abside era nascosta dalla sagrestia; già allora vi erano annesse alcune stanze (probabilmente nel lato a sud) per l’eremita custode. Nel 1747 viene cintata l’area del colle per evitare che, durante l’annuale fiera del bestiame, gli animali entrassero nell’area sacra. La visita pastorale del 1748 cita anche il portico davanti all’ingresso, miglioramenti all’interno, tra cui la bellissima balaustra marmorea oggi ridotta a miseri resti e la cantoria ornata di finte architetture dipinte, sopra il portico della facciata. Inoltre il nuovo campanile e ben sei stanze del romitorio, in parte sopra il portico laterale che si affaccia sulle case e le stalle dei coloni. Nel 1752 si erigono le cappelle della Via Crucis, originariamente ornate da pregevoli affreschi di Raffaele Suà di Sagno (1708-1766). Tra il 1830 e il 1850 lo scenografo balernitano attivo al teatro della Scala di Milano, Giovanni Tarchini, esegue i decori geometrici della facciata e la finta abside prospettica di gusto neogotico sulla parete posteriore della chiesa che si possono vedere in antiche fotografie. Altri lavori si fanno nel terreno circostante, usato come cimitero delle vittime del colera, essendo l’edificio usato come lazzaretto.
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Verso il 1855/60 Antonio Rinaldi di Tremona (1816-1875) esegue buona parte dei dipinti della Vita del Santo nell’atrio davanti alla porta principale, probabilmente ricavato chiudendo l’antico portico. Diversi lavori si registrano nel primo decennio del Novecento, ma è nel 1930 che si incarica il giovane scultore Fiorenzo Abbondio dell’esecuzione dei pannelli in terracotta per le cappelle, ormai sbiadite, della Via Crucis. Poco dopo la chiesa subisce una radicale trasformazione, non completata: si voleva invertire l’orientamento, per cui fu costruita una nuova facciata davanti alla vecchia sagrestia, ornata dagli affreschi di Torildo Conconi, e per simmetria costruito il portico a sud, mentre anche l’area intorno fu risistemata con terrazze e nuovi viali d’accesso. Intorno a questi anni si fece anche la decorazione della volta. Altri interventi importanti nel 1948: gli affreschi del Conconi furono strappati dalla facciata (ora se ne vedono i resti nel locale retrostante la facciata), e si pose il pavimento di marmo.
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Risale invece al 1956 la statua di Sant’Antonio che predica ai pesci di Renzo Fontana, collocata nel giardino davanti all’ingresso, mentre qualche anno prima furono eseguiti da Pietro Verzetti (Vercelli, 1876 - Como, 1952) i dipinti nel portico laterale. L’altare liturgico del 1962 era stato progettato dall’architetto Tita Carloni, poi (1972) soppiantato da uno di Alberto Finzi con un bel tabernacolo di Milo Cleis, sostituito da uno smaltato di Costantino Sassi nel 1985. Nel frattempo l’interno fu ritinteggiato e fu smontata e ridotta la bella balaustra settecentesca; anche il pavimento di marmo viene in parte demolito per posare il riscaldamento. Gino Macconi nel 1995 esegue il mosaico nella “finta facciata” ormai rivolta solo più verso l’autostrada.
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Infine tra il 2002 e il 2005 si compiono diversi lavori di restauro a numerose opere pregevoli non solo presenti nell’oratorio (la statua del Santo, il Crocifisso antico, numerosi dipinti, la cappella, gli arredi, ecc.), ma anche alcuni già da tempo trasferiti nella Nunziatura ma sicuramente provenienti da Sant’Antonio. Tra questi meritano almeno una breve segnalazione la già pala d’altare della fine del Cinquecento con Maria, Giovanni e prelato ai piedi della croce nuda, con il donatore (l’arciprete Luigi Torriani?) forse dell’ambito di Giovan Pietro Gnocchi, e Il miracolo di Sant’Antonio e la mula, con donatori, di un pittore nordico, forse bavarese e databile a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, attualmente esposta in Municipio con altre tele seicentesche riconducibili alla bottega dei Torriani di Mendrisio.
Anastasia Gilardi